Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019) ha profondamente innovato, anche, la disciplina relativa alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, modificando fortemente l’attuale legge vigente (l. n. 3/2012), introdotta per aiutare a risolvere lo stato di crisi di tutti quei debitori sovraindebitati non rientranti nei soggetti fallibili ex art. 1 l.f.

Composizione delle crisi da sovraindebitamento

Il legislatore ha voluto dare una forte discontinuità, anche formale, rispetto al passato, prevedendo la “ristrutturazione dei debiti del consumatore” in sostituzione del Piano del consumatore (artt. 67-73), il “Concordato minore” in sostituzione dell’Accordo (artt. 74-83) ed infine la “Liquidazione controllata” già definita liquidazione del patrimonio (artt. 268-277). L’ambito di applicazione nonché il presupposto soggettivo per l’accesso alle procedure in commento è disciplinato dall’art. 1 il quale sancisce “il presente Codice disciplina in modo unitario le situazioni di crisi o insolvenza del debitore, sia esso consumatore, professionista o imprenditore, che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici” e il successivo art. 2 co. 1 lettera c) definisce il “sovraindebitamento” come “lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start up innovative di cui al D.L. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza, d) “impresa minore” l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell’articolo 348. Per il presupposto oggettivo, poi, vengono in rilievo le nozioni di crisi e di insolvenza, poiché l’art. 2) co. 1 lett. a) definisce la crisi come uno stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate, mentre l’insolvenza (art. 2 co. 1 lett. b) come lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Concordato minore

Con riferimento al concordato minore, la riforma ha previsto, ai sensi dell’art. 74 co. 1, espressamente la possibilità di accesso in favore di tutti i soggetti di cui all’art. 2 co. 1 lett. c), con esclusione del consumatore; ma soprattutto si prevede, come ipotesi principale, la prosecuzione dell’attività imprenditoriale professionale e come ipotesi marginale la procedura liquidatoria mediante apporto di finanza esterna che aumenti in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori (art. 74 co. 2). E’ stato, inoltre, disciplinata la regolamentazione del rapporto con i creditori, i quali partecipano al concorso formale e sostanziale, per i crediti anteriori all’introduzione della procedura (con la conseguente applicazione della par conditio creditorum) e le misure protettive cioè i vincoli sul patrimonio del debitore che potranno essere richieste da quest’ultimo subito dopo la dichiarazione di ammissibilità della domanda e la conseguente apertura della procedura in parola ex art. 78 co. 2 lett. d) (quindi, prima dell’omologazione del concordato minore), sulla falsariga di quello che già avviene in tema di concordato preventivo ante riforma (art. 168 l.f.). Il legislatore, dunque, utilizzando la nozione di concordato minore – prevedendo, anche, per questo istituto il risanamento dell’attività attraverso la ristrutturazione del debito imprenditoriale o professionale e solo in via subordinata la prospettiva liquidatoria e sempre con apporto apprezzabile di risorse esterne – ha, di fatto, instaurato “una procedura minore” del concordato preventivo. Previsione avallata, anche, dall’art. 74 co. 4 che dispone il rinvio – per tutto quanto non espressamente disciplinato nella normativa sul concordato minore – alle disposizioni del concordato preventivo in quanto compatibili.

Apporto di finanza esterna: differenza con il concordato preventivo

La mancata previsione della percentuale minima necessaria per l’apporto di finanza esterna, però, fa sorgere fondati dubbi sull’apprezzabilità delle risorse che il giudice dovrà valutare in via discrezionale. Il problema risulta distonico rispetto al concordato “maggiore”, poiché nella relazione illustrativa veniva spiegato (con riferimento a quest’ultimo) che si è fatto ricorso ad un parametro certo ed economicamente misurabile onde evitare le incertezze interpretative che sarebbero inevitabilmente sorte laddove tale requisito di ammissibilità della proposta di concordato fosse stato rimesso alla discrezionale valutazione del tribunale. Delle due l’una: o il legislatore ha “dimenticato” di inserire nel concordato minore la percentuale minima o ha deciso di applicare, implicitamente, il rinvio all’art. 84 co. 4 in tema di concordato preventivo. Ed in quest’ultimo caso, anche, nel concordato minore, si potrà prendere in considerazione la soglia minima quale apprezzabile per il soddisfacimento del ceto chirografario, al di sotto della quale, l’apporto di finanza esterna, potrebbe configurarsi solo ed esclusivamente come una mera operazione “di facciata” non avente alcuna utilità concreta per i medesimi chirografi nonché potrebbe portare i Tribunali a non uniformare un principio normativo su tutto il territorio nazionale.

Considerazioni conclusive

Da quanto esposto emerge che il concordato minore: 1) potrà essere considerato una procedura di natura concorsuale; 2) potrà essere equiparato per molti aspetti al concordato preventivo, si pensi anche agli effetti del concordato sui soci illimitatamente responsabili, che, chiaramente, rimarranno obbligati solidali solo ed esclusivamente limitatamente al contenuto della proposta concordataria come avviene nel concordato preventivo, beneficiando dell’esdebitazione sul residuo; 3) rispetto al concordato preventivo, però, ai sensi dell’art. 80 co. 3 2° periodo del Codice, è prevista la possibilità di omologazione da parte del giudice anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria, sebbene decisiva ai fini del raggiungimento della maggioranza, quando, sulla base della relazione dell’OCC, risulti più conveniente rispetto alla prospettiva liquidatoria, uniformandosi alla disciplina in materia di accordi di ristrutturazione dei debiti ex all’art. 48 co. 5.