Ci troviamo spesso di fronte alla situazione in cui il soggetto destinatario della fattura continui per errore ad applicare e versare la ritenuta all’atto del relativo pagamento.
Nella circolare n. 10/E del 4 aprile 2016, l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito indicazioni al riguardo, essendosi limitata affermare che il contribuente che si avvale del regime forfetario non è tenuto ad effettuare le ritenute. Non era dunque chiaro quale potesse essere l’atteggiamento dell’amministrazione finanziaria di fronte alla condotta del contribuente che avesseoperato erroneamente le ritenute. La soluzione è stata fornita dalla stessa Agenzia delle Entrate nella circolare n. 9/E del 10 aprile 2019 che, al paragrafo 4.2, ribadisce che – salvo quanto si specificherà a breve con riferimento all’erogazione di redditi da lavoro dipendente – i contribuenti che aderiscono al Regime Forfettario non sono tenuti ad operare le ritenute alla fonte, ivi comprese le addizionali regionali e provinciali, pur essendo obbligati a indicare in dichiarazione il codice fiscale del soggetto a cui sono stati corrisposti emolumenti senza operare, all’atto del pagamento, la relativa ritenuta d’acconto. Tuttavia, spiega la stessa circolare, è facoltà degli stessi operare le ritenute alla fonte, “senza che tale comportamento costituisca comportamento concludente per la fuoriuscita dal regime forfetario”. Si pensi ad esempio al caso in cui un dottore commercialista in regime forfetario, si avvalga del supporto di un collega per lo svolgimento di una determinata prestazione. Qualora sia stata applicata la ritenuta all’atto del pagamento del compenso, ciò non rappresenterà comportamento concludente ai fini dell’opzione per il regime IVA ordinario. Il chiarimento fornito nella circolare n. 9/E/2019 va coordinato con le modifiche introdotte dal decreto Crescita (D.L. 30 aprile 2019, n. 34). L’art. 6 del decreto, infatti, ha modificato l’art. 1, comma 69, della legge di Stabilità 2015, che esonerava completamente i contribuenti forfetari dall’obbligo di operare le ritenute alla fonte indicate nel titolo III, articoli da 23 a 30 del D.P.R. n. 600/1973.
La legge di Stabilità 2015 (art. 1, comma 69, legge n. 190/2014) stabilisce che i contribuenti forfetari non assumono la qualifica di sostituti d’imposta e sono esonerati dai relativi adempimenti (effettuazione delle ritenute, ad eccezione di quelle relative a redditi di lavoro dipendente e assimilato, invio della Certificazione unica, presentazione del modello 770). Salvo quanto previsto relativamente alle ritenute sui redditi da lavoro dipendente, i forfetari non sono quindi tenuti a operare e certificare le ritenute pur essendo obbligati a indicare in dichiarazione dei redditi, all’interno del quadro RS, i dati del soggetto a cui sono stati erogati tali compensi. In modo speculare i forfetari non sono soggetti alla ritenuta d’acconto in relazione ai ricavi o compensi percepiti; a tal fine sono tenuti a rilasciare un’apposita dichiarazione al soggetto erogante dalla quale risulti che il reddito cui le somme percepite afferiscono è soggetto all’imposta sostitutiva. |
Per effetto della novella legislativa, invece, si è stabilito che tale esonero non va applicato con riferimento alle ritenute di cui agli articoli 23 e 24 del D.P.R. n. 600/1973, ossia relativamente all’erogazione di redditi di lavoro dipendente e assimilati. La modifica va incontro ad un’ulteriore novità introdotta dalla legge di Bilancio 2019 che ha rimosso il vincolo di accesso al regime riguardante il sostenimento di spese per lavoratori per un ammontare superiore a 5.000 euro.In definitiva, dal 1° gennaio 2019 (decorrenza del nuovo obbligo introdotto dal D.L. n. 34/2019), anche i datori di lavoro e committenti che si avvalgono del regime forfetario sono obbligati ad operare e versare le ritenute sui redditi di lavoro dipendente e assimilato erogati a soggetti terzi.